Radici lucane, ma sandonatese da quasi mezzo secolo, l’artista spazia fra le immagini simbolo del capoluogo lombardo e la narrazione della natura, con scorci di campagna, mare e fiume:
---Artista di radici lucane, ma sandonatese da quasi mezzo secolo,
Giuseppe Faraone è un pittore dal profilo incastrato nelle immagini
della città di Milano (il Duomo, i Navigli, il Castello, il Cordusio, la
Darsena, le Porte,ecc.) e nella narrazione della natura, nella fedeltà
alla figura femminile.Come i molti che cercano l’estrema mobilità della sensazione fa del colore un seguito di evaporazioni luministiche.
Deambula alla maniera impressionista in un romanzo ottico in cui incrociano descrizioni e sintesi,atmosfere e scenografie, incantamenti naturali (il mare, le spiagge, i corsi d’acqua, l’Adda, i
parchi, le campagne). È un artista dotato di tecnica e di intenzionalità,che si nutre di allusioni poetiche.
Dipinge non solo tele, ma miniature e oggetti coinvolgendo nell'ingranaggio l’artigiano e l’artista, il simbolo e il motivo,
l’insistenza e le effusioni.
Reduce da qualche mese dalla esibizione alla Galleria MDG di
corso San Gottardo a Milano si ripropone (dal 5 al 17 settembre) allo
Spazio Alda Merini, nell'ex tabaccheria comunale di via Magolfa 32,
presentato da Benedetto Di Pietro,che ne fa un riassunto da laboratorio:
il suo impressionismo «si è ampliato con i pittori della Scapigliatura milanese».Una finestra su Milano questo il titolo
con cui l’artista si propone allo Spazio Merini riprende in parte il discorso ricco di suggestioni con cui nel giugno dello scorso anno si era
esibito allo Spazio Seicentro con : un repertorio di visioni brillanti di colori, a mezza strada tra il disegno e l’illustrazione, condotto con eleganza di mano e senso del mestiere e della
probità.
A San Donato Milanese ha denominato il suo laboratorio di via Ticino 3 “La tana dell’arte”.Non è un nascondiglio,
non ha nulla da nascondere anzi ha molto da vedere, la traccia che della sua pittura lascia negli oggetti e viceversa: un panorama di sensazioni uniche, tenuto da una maglia che non si
smaglia.
È difficile dare collocazione alla sua pittura.Tendenze, formazioni, tecniche, influenze a volte vanno nella direzione di un francesismo rapido
( frutto del suo soggiorno parigino), a volte di una spontanea immediatezza di alfabeto lombardo.A volte pare persino di scovare la luce riflessa delle facciate delle case di Picerno, suo comune
natale. Faraone si può definire un colorista: la pittura stesa senza vincoli plasmandola luce colore senza obblighi accademici.
Se abolite il colore da un suo dipinto la trama continuerà a proiettare la stessa immagine colorata. È un pittore di suggestioni, un alchimista
del colore, uno che non insegue il contemporaneo ma cerca di alzarsi in volo,di mettere davanti a una finestra inattesa.Mettendosi
al riparo di una natura dove il colore ha una qualità che lo rende vocativo e comunicativo, anche se non rinuncia a raccontare l’uomo,
preferisce mettere sulla tela un mondo “divinamente” semplice, che da
“medicalmente” distensione. All'energia dei colori affida immagini
una sintassi dove la materia cromatica basta da sé a riempire forme.
C’è senz'altro un po’ di retorica in questo suo affidarsi al colore, ma
nel quadro esso ha una specificità figurativa che lo fa riconoscere. Defilato rispetto alle tante esperienze correnti, Faraone fonda nei colori figurazione e libertà espressiva.Senza
inquietudine. Destinando
una luce che non è reale e neppure è quella del chiuso,ma ha la segreta
effusione che si espande dalla natura stessa delle cose.
Articolo pubblicato sul Cittadino : Martedi 1 settembre 2015
Scritto ALDO CASERINI
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